Decisione come processo
Il processo decisionale (decision making) rappresenta una delle funzioni cognitive più complesse dell’essere umano, definito come il processo attraverso il quale viene selezionata un’opzione o un corso d’azione tra diverse alternative disponibili (Glimcher & Fehr, 2014). La Neuroeconomia, disciplina emersa all’intersezione tra neuroscienze, economia e psicologia, ha rivoluzionato la nostra comprensione di come il cervello elabori le decisioni, integrando metodi dalle neuroscienze cognitive con i modelli economici tradizionali (Camerer et al., 2005).
A differenza dell’economia neoclassica che assume la razionalità dell’homo economicus, la neuroeconomia riconosce che le decisioni umane sono il risultato di complesse interazioni tra processi neurali, emotivi e cognitivi, spesso caratterizzati da euristiche e bias sistematici (Kahneman, 2011). Questo approccio interdisciplinare ha permesso di mappare i circuiti neurali coinvolti nelle decisioni e di comprendere come fattori contestuali, emotivi e sociali influenzino sistematicamente il comportamento decisionale.
Comprendere il Decision Making: i contributi classici dell’Economia Comportamentale
Uno degli esperimenti più influenti nel campo dell’economia comportamentale è quello che ha portato alla formulazione della Prospect Theory da parte di Kahneman e Tversky (1979). Questo modello descrive come le persone valutino in modo asimmetrico guadagni e perdite rispetto a un punto di riferimento. Gli autori hanno dimostrato che gli individui tendono ad essere avversi al rischio quando confrontati con potenziali guadagni, ma propensi al rischio quando confrontati con potenziali perdite.
Scenario A: Scegliere tra (a) un guadagno sicuro di €900 o (b) il 90% di probabilità di guadagnare €1000
Scenario B: Scegliere tra (a) una perdita sicura di €900 o (b) il 90% di probabilità di perdere €1000
Nonostante il valore atteso sia identico in entrambe le opzioni, la maggioranza dei partecipanti sceglie l’opzione sicura nello scenario A (avversione al rischio) e l’opzione rischiosa nello scenario B (propensione al rischio), contraddicendo l’assunzione di coerenza della teoria dell’utilità attesa (Tversky & Kahneman, 1981). Tversky e Kahneman (1981) hanno documentato anche come la formulazione (framing) di un problema decisionale possa alterare drammaticamente le preferenze. Nel loro famoso “Asian Disease Problem”, hanno presentato due versioni dello stesso scenario decisionale:
Framing positivo: “Se adottiamo il programma A, 200 persone su 600 saranno salvate. Se adottiamo il programma B, c’è 1/3 di probabilità che 600 persone siano salvate e 2/3 di probabilità che nessuno sia salvato.”
Framing negativo: “Se adottiamo il programma A, 400 persone su 600 moriranno. Se adottiamo il programma B, c’è 1/3 di probabilità che nessuno muoia e 2/3 di probabilità che 600 persone muoiano.”
Nonostante le opzioni siano matematicamente equivalenti, la maggioranza sceglie l’opzione A nel framing positivo (avversione al rischio) e l’opzione B nel framing negativo (propensione al rischio), dimostrando come la presentazione del problema influenzi significativamente le preferenze (Tversky & Kahneman, 1981).
Basi neurali della decisione
Gli avanzamenti nelle tecniche di neuroimaging hanno permesso di mappare i circuiti neurali coinvolti nei processi decisionali, rivelando un complesso network di regioni cerebrali che interagiscono durante la valutazione delle opzioni e la selezione delle azioni.
- La corteccia prefrontale (PFC) gioca un ruolo centrale nel processo decisionale, con diverse sub-regioni specializzate in aspetti complementari della valutazione.
- La corteccia orbitofrontale (OFC) è particolarmente coinvolta nella codifica del valore soggettivo di diverse opzioni e nella valutazione delle ricompense (Padoa-Schioppa & Assad, 2006). Studi di risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno dimostrato che l’attività nella OFC correla con il valore soggettivo attribuito a diverse opzioni, indipendentemente dalla loro natura (Levy & Glimcher, 2012).
- La corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) integra informazioni sul valore con fattori contestuali e obiettivi a lungo termine, svolgendo un ruolo cruciale nelle decisioni basate sul valore (Kable & Glimcher, 2007). Pazienti con lesioni alla vmPFC mostrano deficit nella capacità di prendere decisioni vantaggiose a lungo termine, come evidenziato dalle loro performance nell’Iowa Gambling Task (Bechara et al., 1994).
- La corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC) è invece coinvolta nel controllo cognitivo e nell’implementazione di strategie decisionali complesse che richiedono l’inibizione di risposte immediate per perseguire obiettivi a lungo termine (Miller & Cohen, 2001).
L’amigdala e la valutazione emotiva
L’amigdala è cruciale per l’integrazione di informazioni emotive nel processo decisionale. Studi hanno evidenziato il suo ruolo nell’avversione alle perdite e nelle decisioni in condizioni di rischio o ambiguità (De Martino et al., 2010). Soggetti con lesioni all’amigdala mostrano una ridotta avversione alle perdite e una minore sensibilità agli esiti negativi, suggerendo il suo ruolo nella valutazione emotiva delle possibili conseguenze (De Martino et al., 2010).
L’insula anteriore e la percezione del rischio
L’insula anteriore è attivata durante decisioni rischiose e sembra codificare la percezione soggettiva del rischio (Kuhnen & Knutson, 2005). Studi di neuroimaging hanno mostrato un’aumentata attività insulare prima di scelte rischiose e prima del rifiuto di offerte inique nell’Ultimatum Game, suggerendo il suo ruolo nella mediazione di risposte emotive negative che influenzano il processo decisionale (Sanfey et al., 2003).
Meccanismi del Decision Making: un esempio pratico
Per illustrare come questi meccanismi neurali operino in situazioni reali, consideriamo il processo decisionale coinvolto nell’acquisto di una casa, una delle decisioni economiche più significative nella vita di molte persone.
Fase 1: valutazione delle opzioni
Immaginiamo che Maria stia considerando l’acquisto di due case:
Casa A, situata in centro città con un prezzo elevato,
Casa B, in periferia ma più economica.
Durante questa fase, la sua corteccia orbitofrontale (OFC) è attivamente coinvolta nella codifica del valore soggettivo di ciascuna opzione. Studi di neuroimaging suggeriscono che l’attività nella OFC aumenta proporzionalmente al valore percepito di un’opzione (Levy & Glimcher, 2012). Contemporaneamente, il suo striato ventrale (parte del sistema dopaminergico) risponde all’anticipazione dei potenziali benefici di ciascuna opzione. La prospettiva di vivere in una posizione prestigiosa (Casa A) attiva il circuito della ricompensa, ma anche la considerazione del risparmio economico (Casa B) genera una risposta neurale simile, creando un conflitto decisionale (Knutson et al., 2007).
Fase 2: valutazione del rischio
Considerando i rischi finanziari associati all’acquisto della Casa A (es. mutuo maggiore), l’insula anteriore di Maria mostrerà un’aumentata attività, segnalando il potenziale rischio e generando una risposta emotiva anticipatoria. Questo meccanismo, documentato da Preuschoff et al. (2008), aiuta a integrare la percezione del rischio nel processo decisionale.
L’amigdala, nel frattempo, intensifica la risposta emotiva al potenziale scenario negativo di difficoltà finanziarie, contribuendo al fenomeno dell’avversione alle perdite descritto dalla Prospect Theory (Tom et al., 2007).
Fase 3: deliberazione e bilanciamento
Durante la deliberazione, la corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) di Maria integra valori, rischi e obiettivi a lungo termine. Questa regione è fondamentale per bilanciare considerazioni immediate (es. estetica della casa) con implicazioni future (es. sostenibilità del mutuo), come dimostrato da Hare et al. (2009). La corteccia prefrontale dorsolaterale (dlPFC) è cruciale per resistere all’impulso di scegliere basandosi solo sul fascino immediato della Casa A, implementando strategie di autocontrollo per considerare razionalmente tutti i fattori rilevanti (Hare et al., 2009).
Fase 4: influenze contestuali
L’effetto di framing entra in gioco quando Maria consulta diverse fonti di informazione. Un agente immobiliare potrebbe presentare la Casa A evidenziando il potenziale aumento di valore nel tempo (framing positivo: “Un investimento per il futuro”), mentre un consulente finanziario potrebbe enfatizzare il rischio di sovraindebitamento (framing negativo: “Un impegno finanziario eccessivo”). Queste diverse formulazioni attivano reti neurali distinte che influenzano sistematicamente la percezione del valore e del rischio (De Martino et al., 2006).
Fase 5: decisione finale
La decisione finale emerge dall’interazione di tutti questi sistemi neurali. Se il valore percepito e le risposte emotive positive verso la Casa A superano l’avversione al rischio finanziario, Maria potrebbe optare per questa nonostante il costo maggiore. Al contrario, se la risposta di avversione al rischio dell’insula e dell’amigdala è sufficientemente forte, potrebbe prevalere la scelta più conservativa della Casa B.
Per illustrare come questi meccanismi neurali operino in situazioni reali, consideriamo il processo decisionale coinvolto nell’acquisto di una casa, una delle decisioni economiche più significative nella vita di molte persone.
Decisione razionale?
La neuroeconomia ha rivoluzionato la nostra comprensione del decision making, superando la dicotomia tra razionalità ed emozione e rivelando come i processi decisionali emergano dall’interazione di molteplici sistemi neurali.
Le evidenze neuroscientifiche supportano i principali fenomeni documentati dall’economia comportamentale, come l’avversione alle perdite, l’effetto di framing e le preferenze sociali, fornendo una base biologica per comprendere perché le decisioni umane spesso deviano dalle previsioni dei modelli economici tradizionali.
Questa integrazione di prospettive ha importanti implicazioni pratiche, dalla progettazione di politiche pubbliche più efficaci all’assistenza nelle decisioni mediche o finanziarie.
Riferimenti
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